Quantcast
Channel: un libro un mese | Dante Alighieri – Zaragoza
Viewing all articles
Browse latest Browse all 28

‘Un cuore muto’, di Sergio Pent

$
0
0

Un cuore muto, di Sergio Pent è stato l’ultimo libro dell’attività Un libro, un mese 2013-2014 della Dante Zaragoza.  Si tratta di un bellissimo romanzo ambientato in un’estate torinese, costruito su un intreccio d’amore per il cinnema delle origini, la storia del ventennio fascista e gli anni di piombo. Sergio Pent è un narratore di storie scritte sempre in un percorso generaziionale e anche geografico. Nei suoi racconti il carattere piemontese emerge in modo molto chiaro, in particolare Torino e la Valle di Susa. Con i suoi romanzi, quello che vuole Pent è, come lui stesso dice, dare una connotazione di “geografia dell’anima” e di riconoscersi come scrittore di questi luoghi. La struttura del romanzo presenta caratteristiche di giallo e di melodramma, con la città di Torino sempre come sfondo, splendida protagonista letteraria, come abbiamo appena detto, di gran parte delle storie di questo autore.

 Con Un cuore muto,  Pent riesce a coinvolgere il lettore in una storia sconvolgente, presentandoci una narrazione di una struttura complessa avvalendosi di una scrittura intensa tramite differenti piani temporali che attraversano la storia del Novecento italiano: dalle origini del cinema muto alle efferatezze del fascismo, dagli anni di piombo degli anni Settanta alle contraddizioni della società globalizzata. A tutti i nostri studenti è piaciuta molto la storia che racconta lo scrittore. Ciononostante ci sono state alcune critiche come la complessità per capire e seguire l’argomento giacchè intreccia continuamente epoche diverse: gli anni Venti, gli anni del fascismo, gli anni di piombo…

Il protagonista, figlio di un falegname della provincia, decide di lasciare il paese e la famiglia e di trasferirsi a Torino. Si laurea a ventitré anni in Lettere Moderne a indirizzo cinematografico ed è pronto per le supplenze come professore nella scuola media. Il suo sogno, però, è quello di diventare “sceneggiatore, quantomeno critico cinematografico”. Ma è difficile spuntarla se non si è vicini agli ambienti di Cinecittà. Così si accontenta di scrivere per una rivista amatoriale di cinema. Conosce Valentina, una giovane attivista di sinistra (frequentatrice di Lotta Continua, prima, e di un gruppo estremista, poi), di cui si innamora e con la quale inizia una relazione contrassegnata da un’appassionata intesa sessuale, ma spesso burrascosa a causa della diversità tra i due e, soprattutto, dei propositi rivoluzionari della ragazza.

Il libro comincia quando il protagonista sta guardando una vecchia pellicola del periodo d’oro del cinema italiano, all’interno del Museo del Cinema di Torino, in compagnia di Gino, un curioso impiegato del museo. A quell’epoca, all’inizio del Novecento, Torino era la mecca per attori e registi. Il film si intitola Rapiti dal destino ed è un feuilleton da poco, un tipico melodramma cinematografico degli anni Venti, caratterizzato da contenuti artistici di discutibile valore e scandito dalle tipiche didascalie del cinema muto. Ma il film ha un’interprete d’eccezione: l’attrice Norma D’Abate.

Nell’ambito della sua attività di collaboratore della rivista cinematografica il protagonista incontra questa attrice, ormai un’anziana signora, per sottoporla a un’intervista. Qui si apre un nuovo percorso narrativo, costituendo questo incontro il vero fulcro della storia. Tra i due si stabilisce un clima di complicità tale che Norma si abbandona al racconto della sua vita privata, segnata dal lusso del cinema e dallo sciagurato incontro e conseguente amore adulterino con un compagno di set, il cattivissimo Camillo Valmorin, con cui Norma avrà un figlio che l’amante sottrae proprio nel momento della nascita. Questo terribile segreto, conosciuto soltanto dalla madre dell’attrice, segnerà la vita futura di Norma.

Per la complicità creatasi durante l’intervista, Norma chiederà al giovane intervistatore di improvvisarsi detective e di andare sulle tracce dell’amante e del figlio perduto. Il protagonista va in cerca di Valmorin e trova un ex attore del muto che è stato un efferato torturatore nel periodo fascista. Si tratta di un vecchio paradossale, che si è ritirato nella sua nativa val di Susa per occultare il suo passato sanguinario, tentando di assomigliare al nonno buono di quella Heidi di cui guarda i cartoni animati alla tv, senza rinnegare nulla del suo tremendo passato. Un personaggio malvagio e perverso che ha sfregiato l’esistenza di Norma coinvolgendola in una storia piena di dolore, violenze e soprusi; una storia di amori traditi e di affetti estorti, che si mescola con le vicende buie dell’Italia fascista, mentre Torino perde il ruolo di capitale del cinema a vantaggio di Roma.

Il giovane professore avrà modo di “attraversare” l’orrore privato e le tragedie del Novecento attraverso i ricordi dell’ottantenne Norma e del suo antico e crudele amante. Questo “attraversamento” turba profondamente il protagonista, anche perché coincide con l’uccisione, durante un corteo, di Valentina. La perdita della ragazza amata si lega alla perdita, l’anno seguente, delle residue illusioni di accesso al mondo di Cinecittà; si tratta della fine della giovinezza e delle ambizioni del protagonista. In fondo, il suo è un percorso simile a quello di Norma, che lasciò il cinema per essere buona moglie di un marito mediocre, per cicatrizzare il ricordo delle violenze subite da Valmorin e della perdita di un “figlio della colpa” che non conoscerà mai.

Secondo i nostri alunni, quello che colpisce di più è la creazione fantastica di personaggi e situazioni, sempre con la musica torinese come sfondo. Alla fine si ha la sensazione che il ruolo del vero protagonista di questa storia sia giocato dal dolore confuso di una vita irrisolta. Un dolore che il tempo non ha mitigato. Come dice Norma D’Abate, dopotutto, “il tempo non ci aiuta a capire, ma solo a ricordare…”. Sul narratore si dice che è uno “spettatore della vita”, non participa, la vede come si se trattase di un film. Non ha sentito mai la vita. È un uomo deluso, non ha un’ambizione economica, ma un’ambizione personale di seguire un sogno: fare lo sceneggiatore e il critico cinematografico. È frustrato, ma si accontenta di quello che è riuscito a fare nella vita. Ha trovato tranquilità anche se la sua vita, scelta da lui, è vuota.  A questo punto possiamo paragonare la sua vita con quella di Norma,  anche lei aveva un sogno: fare l’attrice. Ma il mondo del cinema lei lo vede como qualcosa di provvisorio, ci arriva per caso e si vede costretta ad accetare qualsiasi ruolo, mai quello di protagonista. Alla fine si concentra di più nella sua storia d’amore che nella sua carriera. Non rinuncia alla passione fino alla fine che si vede costretta a farlo. Ma tutti e due, il narratore e Norma sono realistici e non idealizzano il fatto di essere sceneggiatore o fare la protagonista nei film e fare carriera, tutte e due a Cinecittà.

Sul terzo protagonista, Valmorin, non c’è dubbio che un personaggio odiato. Nessuno capisce perché il narratore non lo denuncia una volta conosciuta la sua storia. Si torna quindi all’argomento che lui ha deciso di fare lo spettatore e non si sente vivo nè con la forza di farlo. E poi lui sa che non avrebbe nessun senso denunciarlo perché si sarebbe sparato. Per alcuni Valmorin, quando decide di “confessarsi” con il narratore, si penta della sua vita e per altri si vanta. E a proposito di Valmorin si commenta che il libro è pieno di scene fortissime e sgradevoli: le torture, l’uccisione della sorella da parte del padre, quando lui attaca suo padre, ecc.

Tutti coincidono che è un giallo ben costruito e nonstante la costruzione narrativa sa creare il “suspense”. Molti pensano che alla fine avrebbero saputo chi è il figlio di Norma. Si fanno tantissime ipotesi: forse il medico che trova all’ospedale gli mente e è lui il figlio, e così si continua con diverse ipotesi. Alcuni non capiscono perché Norma non fa questa ricerca del figlio prima. Una persona dice che non lo fa perché  trovare il propio figlio significava trovare Valmorin e lei aveva paura dell’incontro. Decide di raccontare tutto al narratore un po’ per fare parlare al “suo cuore muto”. Norma non ha parlato mai con nessuno della sua tragedia (tranne sua madre che è già morta) e cerca nel narratore il modo di trovare la pace tentando di rintracciare questo figlio. Per una persona, l’immagine più bella del libro è quando il narratore scopre tutte le fotografie che Norma ha raccolto su bambini e uomini che potrebbero essere suo figlio. Gli ha inventato una vita. Per un’altra persona invece questo e sintomo di malattia mentale. Si conclude sottolineando di nuovo che è un libro bello, ma difficile da leggere per la sua struttura  e che a volte diventa pesante.

Sergio Pent nasce in Val di Susa (Piemonte) nel 1952 e da più di vent’anni vive a Torino. Collabora come critico letterario in molte riviste, sia di narrativa italiana che di narrativa straniera e gialli. Fa parte dal 1998 della giuria del premio “Scerbanenco” e di altre giurie letterarie. I suoi romanzi più famosi sono La nebbia dentro, Piove anche a Roma, La cassetta dei trucchi, Le nespole e Il custode del museo dei giocattoli, finalista al Premio Strega. Il più recente romanzo pubblicato, Un cuore muto, si è aggiudicato il Premio Volponi. Fa anche il maestro elementare.

 

 

 


Viewing all articles
Browse latest Browse all 28